sabato 16 dicembre 2017

Il dilemma terapeutico dei tumori

Non vi è dubbio che oggi l’oncologia clinica sia in fase di profondo ripensamento
e forse di malcelato imbarazzo.
L’utilizzazione sistematica di schemi chemioterapici sempre più aggressivi, di tecniche
radioterapiche sofisticate, di procedure chirurgiche radicali, non ha portato,
negli ultimi decenni, a risultati terapeutici apprezzabili.
Le prospettive di successo, intraviste con i risultati conseguiti in un numero limitato
di malattie (soprattutto tumori dell’infanzia, tumori del sistema linfatico, leucemia
linfatica acuta, tumori del testicolo) non sono state confermate dall’estensione
di questi schemi terapeutici alle malattie tumorali più diffuse (polmone, mammella,
colon, stomaco, ecc.). Accanto ad una letteratura specialistica, che continua ad affermare
vantaggi terapeutici di nuovi schemi ed associazioni di chemioterapici, vi è il
riscontro deludente dei dati statistici sulle percentuali di mortalità per tumori che indicano
un sostanziale stallo delle nostre possibilità di curare tumori maligni, anche se
recentemente la sperimentazione in atto di alcuni tipi di farmaci, i cosiddetti “farmaci
intelligenti”, ha riacceso entusiasmi forse prematuri, ma sicuramente degni di verifica.
Le curve di mortalità per tumore sono, nella maggior parte delle neoplasie, sostanzialmente
stabili, con l’eccezione di alcune malattie (leucemia del bambino e
dell’adulto, linfomi, tumori del testicolo, tumore di Wilms) ad incidenza trascurabile.
Soltanto dove è stata possibile un’efficace azione di diagnosi precoce le
curve mostrano una tendenza accettabile alla regressione (vedi tumori della cervice
uterina e tumori prostatici). D’altro canto, per altre neoplasie (ad es. polmone),
particolarmente dipendenti da fattori inquinanti o ambientali, le curve di mortalità nei due sessi mostrano una preoccupante tendenza all’incremento. La
sostanziale difformità tra i pretesi risultati positivi vantati dalla letteratura e i deludenti
risultati che emergono dai consuntivi statistici globali, può dipendere da
due diversi fattori:
■ un’erronea, parziale ed ottimistica valutazione dei dati ottenuti nei cosiddetti studi
clinici randomizzati. Tali studi, ineccepibili dal punto di vista teorico, presentano
in pratica numerosi aspetti criticabili. Soprattutto quando vengono condotti
in numerosi centri (studi policentrici), possono sorgere dubbi notevoli circa l’omogeneità
del materiale umano utilizzato, l’effettiva aderenza al protocollo delle
terapie praticate nei vari centri e la correttezza nell’interpretazione dei risultati.
■ un fattore importantissimo, da tenere in adeguata evidenza, è inoltre il fatto che
questi studi, pubblicati su riviste specialistiche internazionali, sono effettuati in
poche strutture particolarmente ben attrezzate e con adeguato background culturale.
Invece, la grande massa dei dati che confluiscono nelle statistiche consuntive
deriva da piccoli centri ed ospedali che presentano indubbiamente, rispetto
ai primi, notevoli differenze di ordine organizzativo, diagnostico e terapeutico.
Ciò è vero per i Paesi altamente industrializzati ed è ancor più valido per Paesi
con organizzazioni sanitarie estremamente disomogenee e fortemente deficitarie
in alcune regioni o aree, come è il caso dell’Italia.
Alla luce di queste considerazioni, appare quindi improrogabile una discussione
aperta, senza pregiudizi, su quanto e come si deve fare in oncologia. Forse è venuto
il momento di chiedersi se non si debba, in molti casi, rinunciare a velleitari
tentativi di “cura”, ma ripiegare su più realistici programmi di “assistenza”, soprattutto
per i malati in fase avanzata, con aspettative di vita limitate e con
prospettive terapeutiche praticamente nulle. C’è da chiedersi se l’ostinarsi in tentativi
terapeutici secondo protocolli costosi, ma di documentata inefficacia, sia
un carico che la medicina sociale possa a lungo sopportare, senza una precisa regolamentazione.
Oppure se non sia il caso di limitare la sperimentazione terapeutica
a poche singole strutture autorizzate in tal senso, allo scopo di acquisire
“nuovi” dati, e consentire la terapia sistematica solo in quei casi nei quali le esperienze
internazionali fanno ritenere giustificato un tentativo di cura. Ciò consentirebbe
di utilizzare strutture, uomini e mezzi in maniera più redditizia nel settore
della diagnosi precoce ed eventualmente della prevenzione primaria.
Non possiamo ignorare ancora per molto, visto il dissesto organizzativo e finanziario
del nostro sistema sanitario che, nella maggior parte dei casi, la cura di un
malato neoplastico è estremamente impegnativa, senza la contropartita di un adeguato
“compenso” in termini di riabilitazione. Forse si deve cominciare ad introdurre
il concetto che il sistema sanitario, superati determinati limiti convenzionali, possa lasciare spazio ad iniziative dei singoli o solidaristiche, puntando, per determinate
categorie di malati (età ecc.) e per determinate patologie, più sul concetto
di assistenza che su quello di cura. Potrebbe sembrare questa una posizione
pessimistica e rinunciataria. In realtà è soltanto realistica. Personalmente sono convinto
che questo stato di cose possa nel tempo mutare, anche radicalmente. Grazie
alla mole enorme di studi clinici effettuati negli ultimi anni, ma soprattutto grazie ai
complessi studi di oncologia sperimentale, di biologia molecolare, di immunologia
di base ed applicata, oggi le conoscenze dell’universo “tumore” sono molto maggiori
che in passato e, storicamente, ad un miglioramento delle cognizioni di base di una
determinata patologia, è sempre corrisposta, a distanza più o meno grande, un’adeguata
utilizzazione terapeutica delle cognizioni raccolte.
Mentre, però, si può essere ragionevolmente ottimisti sulle nostre possibilità di intervento
terapeutico a medio o a lungo termine, oggi ci dobbiamo necessariamente confrontare
con un problema sociale ed organizzativo di grandi dimensioni, con costi in
vertiginoso aumento. Il nostro sistema sanitario, nel tentativo di tamponare questa
lievitazione dei costi, sembra incapace di investire (per mancanza di fondi, oppure
solo per mancanza di fantasia) nell’unico settore redditizio (in termini di abbattimento
statistico dei decessi), costituito dalla prevenzione, primaria o secondaria. [...]

Estratto dal libro: "Curare con il Calore" - e book Macro Edizioni - Gruppo Editoriale Macro
https://www.macrolibrarsi.it/ebooks/ebook-curare-con-il-calore-epub.php#approfondimenti,

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